Le tradizioni di Ognissanti e dei Defunti a Mattinata: un viaggio nelle antiche usanze
- 31 Ottobre 2024
L'àneme i murt! E ndla sacchett che purt?
Franco Cardini, medievalista di fama, commenta il volume ‘L’icona lapidea di Bernardo monaco’
Torniamo ancora una volta sul santuario del Gargano e sul culto michelita: argomento inesauribile per il mondo meridionale in genere, pugliese in particolare. I santuari dedicati all’arcangelo Michelecostituiscono una specie di asse latitudinario che letteralmente tiene insieme l’Europa dal nord-ovest «Mont-Saint-Michel tra Normandia e Bretagna) al sud-est (San Michele del Gargano) attraverso la Francia (Le Puy), la Germania (Fulda) e l’Italia settentrionale (la Sagra di San Michele in Valdisusa).
Fra tutti questi santuari, quello pugliese pare comunque il primogenito: nel mondo antico e medievale i parametri di «eccellenza geostorica» – chiamiamoli così – sono invertiti rispetto ai nostri: noi ci aspettiamo sempre le novità e le eccellenze dal Settentrione o dall’Occidente, ma i nostri predecessori se le aspettavano semmai dal Meridione e dall’Oriente.
Si discute molto, naturalmente, sull’origine della leggenda garganiana, sulla sua origine (posta forse dai più al V secolo circa, per quanto non manchi chi vorrebbe datarla a periodi precedenti), sul carattere mithrai stico di alcune sue caratteristiche come la presenza della grotta e del toro in quella narrazione tradizionale straordinariamente tradotta in termini iconici nei dipinti murali del Mithraeum di Sutri presso Viterbo, sulla Via Francigena.
Tuttavia, il culto michelita – cui si sovrappone e s ‘intreccia quello del «collega» umano e terreno dell’ Arcangelo Guerriero, san Giorgio – sembra in realtà d’origine copta: proverrebbe quindi forse dall’Egitto, magari addirittura dalla Nubia o perfino dall’Etiopia, e riaffiorano di tanto in tanto le tesi degli epìgonì della vecchia tesi filologico-romantica dei «santi successori degli déi» i quali tornano a sostenere che il Michele che sconfigge il drago-demonio, o il Giorgio che in realtà sarebbe la «cristianìzzazìone» dell’eroe ellenico Perseo, debbano ricollegarsi tutti all’archetipo egizio del dio Horus figlio di Osiride, il Sole del Mattino che sconfigge il Drago della Notte raffigurato come un coccodrillo nilotico.
Lasciamo queste cose specialisti, cioè agli storici, ai filologi e agli antropologi che ormai da tempo si occupano dell’Arcangelo e del suo culto, e che hanno da parecchio tempo un prestigioso punto di riferimento dell’équipe coordinata da un grande studioso, Giorgio Otranto.
Comunque, il tema michelita continua ad essere fecondo campo di studi e di ricerche.
Tra i libri degni di menzione che lo riguardano, va segnalato L’icona lapidea di Bernardo monaco di Michele De Filippo (Grenzi/Basilica Santuario di San Michele Arcangelo, pp.221, illustrato), che si presenta come un lavoro di sintesi dedicato al culto dell’ Arcangelo, al suo complesso e discusso rapporto con i due mondi confinanti bizantino e longobardo nell’ Alto Medioevo, alle immagini dell’ Arcangelo, al pellegrinaggio al suo santuario e ai caratteri sia devozionali, sia folklorici del suo culto. Un libro che, corredato di un’ampia bibliografia, si presenterebbe di per sé già molto utile come vademecum per chiunque voglia avvicinare uno dei culti e dei monumenti più famosi e affascinanti d’Italia e del mondo mediterraneo: e ne dà fede la firma di padre Ladislao Suchy, rettore del santuario michelita.
Ciò, tuttavia, non basta ancora il De Filippo – insegnante e archeologo-speleologo-folklorista, il quale ha al suo attivo numerosi studi sul mondo garganico – è tornato a interessarsi di un problema alquanto arduo,quello delle poche fonti dalle quali è possibile studiare la complessa e semisconosciuta origine del culto michelita. Ciò facendo, ha sottoposto a un’ attenta lettura il diario di viaggio del monaco Bernardo, che pellegrinò come penitente al Sacro Monte nell’870 e che descrisse. Un’immagine dell’ arcangelo finora non identificata fra quelle rimasteci, confrontando tale testo con un’icona lapidea, cioè una lastra di pietra alta un’ottantina di centimetri fortunosamente rinvenuta e dallo studioso datata con buoni argomenti ai secoli VIII-IX (i divieti ecclesiali a proposito delle immagini in genere, di quelle angeliche in particolare, impediscono datazioni troppo più antiche).
Il De Filippo s’impegna lodevolmente anche nella decifrazione delle iscrizioni delle quali la lastra è corredata: qui, trattandosi di semplici iniziali, le ipotesi proposte appaiono più ardue ed è prudente sospendere il giudizio in attesa di ulteriori approfondimenti. La scoperta è comunque molto importante e, confrontata con l’iconografia michelita più antica, sembra coerente con un quadro artistico e devozionale significativo.
Si tratta di una ricerca della quale dovremo forse parlare a lungo.