Venezia, veneti e secessione

Luigi Gatta: ”I Veneti non si sentono più italiani, che peccato!”

Dopo 150 anni i Veneti non si sentono più italiani, che peccato! Mi ricordano un po’ la parabola evangelica del “Figliol prodigo”. Stanchi della famiglia “Italia” i Veneti se ne vorrebbero andare per conto proprio;  però dovrebbero ricordare che alla fine il “Figliol prodigo” è tornato alla casa paterna, ma povero in canna, e comunque accolto con amore da un padre comprensivo. I “Fratelli d’Italia”, invece, non so se potranno essere poi comprensivi, del resto neanche il fratello del “Figliol prodigo” lo fu, infatti protestò contro la generosità del padre.

Insomma i Veneti, non tutti logicamente, non amano più gli Italiani, una volta fratelli. E sanno che il sentimento (o il risentimento) è ricambiato, per tutta una serie di motivi storici fin da prima dell’anno mille. In sintesi: episodi di ladrocinii e ingratitudine  non sono mancati  in mille anni di storia della tanto mitizzata “Repubblica Serenissima”, con pagine gloriose ma anche vergognose.

Quando Venezia era poco più che un villaggio galleggiante sulle acque lagunari e iniziava una grande tradizione marinara, prima commerciale e poi di conquiste territoriali all’interno e sulle coste adriatiche, forse non aveva ancora un santo protettore, come nella tradizione di ogni borgo  italiano, e neanche una bandiera. Provvidero nel IX secolo due audaci mercanti veneziani in Alessandria d’Egitto per affari, Buono da Malamocco e Rustico da Torcello. Commettendo un sacrilegio i due veneziani trafugarono le reliquie dell’evangelista San Marco (vissuto dal 20 alla seconda metà del I secolo), nella iconografia evangelica rappresentato assieme a un leone, già Patriarca ad Alessandria e venerato nei secoli successivi dai cristiani ortodossi e  copti. A San Marco i veneziani dedicheranno una mirabile basilica e il leone, rappresentato con un libro o una spada, diventerà la loro bandiera di colore  arancione.

Credo sia stata tanta la sofferenza delle comunità cristiane di Alessandria d’Egitto  per questo furto sacrilego dei due mercanti veneti. I Veneziani naturalmente volevano onorare le sacre reliquie di San Marco abbellendo la Basilica, inizialmente spoglia, con oro e opere d’arte che non avevano ancora, infatti i Tiziano, i Veronese, i Tintoretto, ecc. verranno secoli dopo, così come la grande ricchezza di Venezia.

Sarà la IV Crociata del 1196, a cui prenderà parte anche la Serenissima, e che per ordine del Papa Innocenzo III doveva approdare in Egitto,  a realizzare il sogno dei pii fedeli veneziani. Infatti l’intrigante Doge Enrico Dandolo riuscì a corrompere i crociati, indirizzandoli, invece, verso la splendida Costantinopoli, con un ricchissimo patrimonio di opere d’arte dell’antichità classica greco-romana, oltre che di oro e pietre preziose.

In questo modo la crociata non fu più controllata dal Papa ma da faccendieri e avventurieri, anche veneziani. Il 1204 i crociati riuscirono a occupare Costantinopoli e, dopo aver massacrato la popolazione, non esclusi donne, vecchi e  bambini, la saccheggiarono di ogni bene per abbellire chiese e cattedrali d’Europa. Ingente fu anche il bottino dei veneziani: cammei con gemme, medaglioni episcopali in oro, preziose icone, le reliquie di Santo Stefano, tanti altri oggetti in oro e i famosi, magnifici  quattro cavalli in bronzo dorato, del tempo dell’Imperatore Costantino, che verranno posti sopra l’entrata della cattedrale, per l’orgoglio dei veneziani, ma poi rubati da Napoleone! Il corso avrà pensato che era lecito rubare ai ladri.

Nei secoli successivi e fino al XVIII secolo la Serenissima sarà uno degli Stati della penisola italiana più potenti e meglio governati, anche perché in Venezia non si verificarono aspre lotte di potere, di partiti l’un contro l’altro armato, e non metaforicamente, come a Firenze tra guelfi e ghibellini. L’interesse dei veneziani, del resto, era tutto rivolto al dominio marittimo nell’Adriatico, nel contrastare le altre non meno nobili e potenti repubbliche marinare, Genova, Pisa e Amalfi, ma soprattutto per contenere l’espansionismo  turco di ostacolo ai loro traffici commerciali con l’Oriente. E la vittoria dell’Occidente cristiano  a Lepanto, il 7 ottobre 1571, contro  l’islamismo turco in gran parte la si deve proprio alla Serenissima.

Nel millennio di storia della Serenissima si può dire più costante  la preoccupazione di estendere e consolidare il dominio nel nord-est d’Italia e in Dalmazia che non a creare salde alleanze, soprattutto in Alta Italia, per scoraggiare le ricorrenti invasioni spagnole, francesi e di lanzichenecchi.  Insomma  la  Serenissima  Repubblica  veneta  nei  secoli  non  solo ha ignorato  e avversato ogni ipotesi di unità della penisola sotto un’unica dinastia, come teorizzato ad esempio dal Machiavelli, ma egoisticamente è rimasta indifferente e ben protetta nei suoi confini anche durante  le guerre più fratricide nel centro-nord d’Italia e devastanti invasioni come quella dei lanzichenecchi (in pratica dei tedeschi del XVI secolo). Forse in questa caratteristica della Serenissima bisogna vedere anche gli attuali conati secessionisti, logicamente antistorici e senza speranza. In fondo solo alla metà del XIX secolo Venezia e i Veneti hanno abbracciato l’idea di Unità nazionale dopo settant’anni di dominio austriaco.

A questo punto è bene ricordare, nel bene e nel male, soprattutto, alcune figure di veneti che sono menzionate nelle cronache storiche. Ad esempio il ricco commerciante veneziano Mocenigo che il 1592 ospitò il filosofo Giordano Bruno per apprendere da lui l’arte  della memoria, ma unicamente per avere maggior profitto negli affari. Venuta meno questa possibilità, l’ingrato veneziano non esitò a denunciare, per iscritto, alla feroce Inquisizione il famoso scrittore e pensatore nolano, che come si sa finirà poi bruciato vivo il 1600 in Campo dei Fiori in Roma, dopo interrogatori sotto tortura.

Anche nell’opera verdiana l’Otello veniamo a conoscere un perfido personaggio, Jago, immaginario senz’altro, ma dal cognome forse veneziano, il quale ordisce una terribile trama di inganni per spingere Otello, capo dei veneziani che resistono all’assedio turco nell’isola di Cipro, a una insana gelosia per il presunto tradimento della sposa Desdemona. Tutto finisce in tragedia: Otello soffoca  la sposa innocente e poi si suicida, mentre jago è braccato dai soldati.

Ai tempi nostri appartengono altri personaggi veneti, fanatici di idee politiche assolutamente estremiste e inumane, che hanno generato nel passato milioni di morti per la maggior parte innocenti: Franco Freda (padovano) e Giovanni Ventura (nato a Piombino Dese-PD) neonazisti dichiarati, citati nei processi per la strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano il 12 dicembre 1969; Gianfranco Bertoli (veneziano), anarchico individualista che, con il lancio di una bomba, causò  la strage alla Questura di Milano mentre si commemorava il commissario Luigi Calabresi; falso maestro della sinistra, poi, è stato certamente il Prof. Toni Negri, padovano, ideologo di “Autonomia Operaia” organizzazione politica di estrema sinistra contigua alla BR seminatrici di morti negli anni ’70  e ’80.

Per fortuna dal Veneto non solo profeti di morte, ma anche un esempio luminoso di benefattore dell’Umanità: è il caso del Dr Franco Basaglia, psichiatra e neurologo, che ha dato nome alla Legge 180 del 13 maggio 1978 promotrice della riforma psichiatrica in Italia, per superare la logica dei manicomi e “per un altro modo di affrontare la questione”, come diceva Basaglia.

In questi giorni ancora Veneti agli onori della cronaca politica per i soliti sogni secessionisti. Gli organi inquirenti hanno accertato traffico d’armi e ancora un goffo tentativo di costruirsi in casa niente meno che un carro armato! Sono seguiti più di venti arresti, evidentemente tra i più irresponsabili ed esagitati, che non mancano anche nelle piazze venete come spesso mostra la TV.

I secessionisti arrestati sono difesi dal segretario della Lega Nord Matteo Salvini, i cui argomenti per milioni di Italiani possono essere irresponsabili quanto all’euro, per la loro illogicità, ma non tanto per i continui e incontrollati sbarchi dal Nord Africa. Dopo le note vicende che hanno svelato il vero volto della Lega Nord: “cerchio magico”, il piccolo “trota” laureato in… Albania (!), i diamanti del cassiere della lega Francesco Belsito, la focosa sindacalista Rosi disprezzata come “trerrona” dagli stessi leghisti puro sangue, ecc. si rifletta un po’ a che pacchia per i leghisti se avessero potuto governare da soli la fantomatica “Padania”: altro che “Roma ladrona”! Un vero obbrobrio di Stato secessionista che nessuno al mondo avrebbe riconosciuto come tale.

Ora ci riprovano i leghisti veneti. Se i “lumbard” organizzarono le “camice verdi” e Bossi volle spaventare gli Italiani con “i fucili pronti” e altre baggianate simili, il colmo della farsa è proprio dei secessionisti veneti con i loro goffi carri armati (i “Tanko”) e il dichiararsi addirittura “prigioniero di guerra” di qualcuno degli arrestati. E tuttavia anche questi avventurieri non sono assolutamente da sottovalutare. Pochi e goffi erano anche i i fascisti di Mussolini in Italia il 1919 e i nazisti di Hitler in Germania il 1920; inizialmente anche i terroristi italiani degli anni ’70 e ’80, neri e rossi, furono sottovalutati e causarono centinaia di morti, poi perché incapaci di sopportare il carcere si dichiaravano “prigionieri politici”, come se ammazzare un giudice, un poliziotto o un operaio fosse solo espressione di un libero pensiero! Per non parlare  di quei giovanotti veneti che con tute militari sono soliti giocare alla guerra contro… gli Italiani. Forse così iniziarono anche in jugoslavia!

Non è escluso che la protesta dei Veneti, secessionisti o meno, abbia delle serie motivazioni: la pressione fiscale ormai insopportabile in Italia come causa principale, ma non unica, del fallimento, chiusura e trasferimento all’estero di tutta una rete di piccole, medie e grandi aziende, e non solo in Veneto; quindi la conseguente disoccupazione di ogni classe di lavoratori, l’assenza di speranza per i giovani, la disperazione di molte famiglie, il suicidio dei più sensibili, ecc. Ma questa non è una particolare situazione solo del Veneto è comune a quasi tutta l’Italia, non escluso il Sud.

L’altro aspetto, in realtà una delle cause della pressione fiscale, è l’abnorme evasione  a Nord come a Sud dell’Italia: in Lombardia e Veneto evadono soprattutto le società di capitali, furbi industriali, banche e assicurazioni; a Sud l’evasione può essere più diffusa ma meno rilevante, a parte poi qualche strada di Napoli, e non solo, con un falso invalido in ogni numero civico.

Nei decenni passati tutto il Nord-Est era davvero la locomotiva economica del Paese, poi qualcosa è cambiato, prima di tutto a livello internazionale: la globalizzazione, la Cina nel WTO, che presto diventa altra potenza economica,  come India e Brasile. Tutta  una nuova realtà che le forze politiche ed economiche del nostro Paese, destra e sinistra, non hanno tenuto in debita considerazione; i leghisti, poi, hanno condiviso per anni il governo di Forza Italia e Berlusconi con risultati disastrosi per gli Italiani. Dovrebbe essere chiaro anche ai Veneti che non si esce dalla crisi con la fuga e la secessione. Il discorso allora deve tornare alla Storia del nostro Paese, ad alcune pagine  particolari, che dimostrano quanto sarebbe ingrato e pericoloso un Veneto secessionista.

La Repubblica Serenissima della fine del XVIII secolo non era più quella dei secoli precedenti, la sua decadenza è iniziata già dopo la scoperta dell’America e lo spostamento del commercio dal mediterraneo all’Atlantico, a parte l’espansionismo dell’impero turco e poi la minaccia che veniva dagli Asburgo d’Austria nel XVII secolo. Insomma, quando Napoleone ne violò la neutralità e col trattato di Campoformio dell’ottobre 1797 cedette la Serenissima all’Austria in cambio del Belgio e della Lombardia, Venezia e l’ultimo doge, Ludovico Manin, vivevano ormai di ricordi del passato.

Il risveglio di Venezia avvenne mezzo secolo dopo, il 1848, e protagonisti furono ancora un Manin, Daniele, e Nicolò Tommaseo; non rivendicavano certo il ritorno alla Serenissima mentre combattevano per liberarsi dal dominio austriaco: come tanti “lumbard”, emiliani, toscani, ecc. sognavano una Patria ben più grande, che lingua e cultura di fatto la facevano unita da secoli. Il 1849 Venezia è accerchiata dall’esercito austriaco, affamata e colerosa: tanti generosi accorrono da tutta l’Italia per difenderla, non solo il prestigioso  Garibaldi ma anche il generale Guglielmo Pepe a capo dell’armata del Regno di Napoli. Quando il Pepe riceve l’ordine di tornare a Napoli rifiuta per continuare a combattere con i veneziani, e con lui è anche Raffaele Di Jasio tenente dell’esercito borbonico originario di Monte Sant’Angelo (Fg). Al rimpatrio, dopo la definitiva sconfitta di Venezia, il Di Jasio è arrestato dal governo borbonico e sottoposto al Consiglio di Guerra per diserzione, rischia la pena capitale, se la cava invece con il congedo. Poi dal 1861 al 1864 combatterà contro il brigantaggio sul Gargano. 

Tanti altri figli, giovani e giovanissimi, della terra di Capitanata si immoleranno, dopo il disastro militare di Caporetto, per difendere sul Piave l’Italia e riprendere il Nord-Est perduto: più di cinquemila saranno i fanti caduti della Provincia di Foggia, circa quattrocento i fanti montanari  eredi e del Di Jasio e ben 54 fanti dell’allora borgata di Mattinata.

Riflettano i Veneti: la loro terra ormai è parte integrante dell’Italia già col plebiscito del 21 ottobre 1866, ma  soprattutto dopo il sangue versato da più di seicentomila fanti italiani dal 1915 al 1918, sangue che griderebbe vendetta con la improponibile secessione!

Sicuramente, però, la grande maggioranza dei Veneti conviene che non vi è alcun problema socio-industriale che non possa essere affrontato e risolto in una logica nazionale e unitaria, non solo per il bene dei Veneti ma di tutti gli Italiani. E’ antistorica ogni idea mirante a distruggere la solidarietà tra italiani, non ultima proprio quella secessionista!

Luigi Gatta
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