Marilina Piemontese: i colori del Gargano e l’arte che unisce il Nord e il Sud
- 1 Dicembre 2024
Un vecchio motore trasformato in una scultura ispirata ai colori del Gargano e all’arte di Mondrian
Francesco Granatiero presenta ”Varde”, poesie in dialetto garganico di Mattinata
Che cosa significa scrivere in una lingua che sta morendo?
Francesco Granatiero costruisce la sua poesia intorno a una simile variazione sul tema. Nato nel 1949 a Mattinata, nel Gargano, ne usa il dialetto da lontano, come attraverso la memoria (Varde. Poesie in dialetto garganico di Mattinata, Aguaplano, è una scelta della sua produzione).
Scrivere in dialetto è per lui come passare per una porta: accedere a un mondo, alle sue presenze. Si tratta, il poeta lo ripete, di «paròule morte» (lui che è anche studioso del dialetto). La sua è anzi la lingua stessa dei morti, in cui si inoltra come in una dimensione intima, eppure senza idillio. Il poeta scava come il padre lavorava la terra: affonda, scende, cerca. In questo frugare c’è un’ambivalenza. Forse è una fossa quella che egli sta scavando; o forse sotto le parole dei morti è un sole che insegue. Così costruisce strofe rigorose, forme chiuse (sonetti di settenari, in particolare), che sono però visitate dall’inquietudine. La voce che soffia nella lingua dei vecchi è come «nu cummanne», un comando. E il «basto» di cui si caricano gli animali (e che dà il titolo alla raccolta: «varde») è simile al peso delle parole per chi scrive. È un gioco? È una pena? Certamente un esercizio di pazienza. Al cui fondo si può recuperare la grande poesia europea, quella di Rilke ad esempio. Per continuare a dialogare, in una parlata «figghie de lu delòure» («figlia del dolore»).