Monte Sacro, la Famiglia Orsini, l’Ordine Domenicano e la Basilica di Santa Maria Sopra Minerva in Roma: nessi o soltanto semplici coincidenze?

Il mistero dei codici miniati di Monte Sacro: dalla cessione a Nicolò Orsini all’incerto destino nella Biblioteca Vaticana e Barberiniana

L'Abbazia di Monte Sacro

È ormai notorio che nel chiostro benedettino di Monte Sacro si disponevano di due copie del codice miniato redatto dall’Abate Gregorius Magister: una prima copia densa di glosse, aggiunte sui margini delle pergamene, una seconda calligraficamente più bella e ricca di decorazioni.

Erano gli anni della massima fioritura artistico – culturale nell’Abbazia in cima alla Montagna Garganica. La popolazione monastica, addetta alle più svariate mansioni, da quelle più umili in cui i monaci erano affiancati da servi della gleba, a quelle più elevate, a partire da quelle connesse alla liturgia e al decoro delle fabbriche conventuali e degli arredi sacri, a quelle scientifiche come l’erboristeria e la farmacia, a quelle umanistiche che avevano naturale collocazione in un ampio scriptorium al cui interno operavano amanuensi, copisti, miniatori sotto la sapiente direzione artistica proprio del dotto Abate Gregorio X, il cosiddetto Magister, popolazione che, nel periodo più luminoso, quanto a presenze, si aggirava intorno a cinquanta tra consacrati Sacerdoti, diaconi, oblati e novizi. Abbondanti erano i laici che cooperavano al buon andamento.

Già nel 1252, immediatamente dopo il ritorno nella Gerusalemme Celeste del grande abate preumanista inizia la decadenza dell’Abbazia di Monte Sacro, “propter expensarum defectum”, cioè per mancanza di mezzi economici.

Il 12 marzo 1366 l’abate (1350-1371) Luca di Monte Sacro si recò a Taranto per consegnare in prestito una delle due copie del codice a Nicolò Orsini, Conte di Nola e Conte palatino, con l’obbligo di restituirlo ad ogni richiesta: Die Iovis duodecimo martii in die sancti Gregorii in civitate Tarenti venerabilis pater dominus frater Lucas abbas monasterii Montis Sacri accommodavit mihi Nicolao de Ursinis nolano et palatino comiti hunc librum restituendum per me sibi ad omnem eius requiescionem, anno Domino MCCCLXVI (1366 UNO MILIA TRECENTO QUINQUAGINTA SEDECIM) quarte indicionis tempore domini Urbani pape V.

“Il giovedì 12 marzo 1366, nel giorno in cui la Chiesa ricorda la morte di San Gregorio Magno, nella città di Taranto il venerabile padre signore fra’ Luca Abate del monastero di Monte Sacro accordò a me Nicolao degli Orsini, nolano e Conte palatino, questo libro con l’obbligo per me di restituirlo a ogni sua richiesta. Nell’anno del Signore 1366, nella indizione del quarto anno di pontificato di Urbano V Papa”.

Fortunatamente, proprio così, il codice di Gregorio non fu più restituito, o è probabile che sia stato venduto, a restituzione avvenuta, a causa della povertà in cui già versava il monastero di Monte Sacro. Ma potrebbe anche essere tornato all’interno dell’Abbazia per finire, unitamente alla seconda copia e a tanti altri libri e documenti nell’Archivio Diocesano conseguentemente all’accorpamento alla chiesa Sipontina.

Stessa sorte, quella dell’alienazione resasi necessaria per sanare debiti pregressi, spettata anche alle tante reliquie possedute, ben 74, vanto dell’abbazia, servite per dare un primo momentaneo respiro alle già dissestate finanze, prima di passare, negli anni a venire, alla vendita dei beni a partire dai più distanti dal Gargano, per terminare con quelli più prossimi territorialmente all’abbazia.

Restano in piedi tutta una serie di quesiti ancora senza risposta e che, se risolti, servirebbero a dare ulteriori lumi a una fine ancora inspiegabile.

In primo luogo: cosa c’era nel codice di Gregorio di tanto interessante da mettere in moto una personalità come il Conte palatino di Nola? Andiamo per ordine.

Nicolò Orsini (nato nel 1331 e morto a Nola nel 1399), fu condottiero di ventura al seguito del Cardinale spagnolo, già inquisitore domenicano, Egidio di Albornoz, nel periodo della cattività avignonese (1309 – 1377).

L’inflessibile Albornoz che dopo morto fu seppellito, per suo desiderio, nella Basilica di San Francesco in Assisi (prima di essere traslato nella Cattedrale di Toledo), proprio quell’Albornoz che tanto ebbe a che fare con i monaci di Monte Sacro.

Nicolò Orsini aveva rivestito importanti cariche pubbliche e ecclesiastiche (Senatore di Roma, Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa, Governatore del Patrimonio) per essersi distinto militarmente da mercenario soprattutto in Umbria, nel periodo in cui questa regione era infestata di eretici sedicenti fraticelli, ma aveva anche preso parte attiva nelle vicende del Regno di Napoli appoggiando Carlo di Durazzo nella sua conquista del regno.

Imparentato con i Reali napoletani, fece costruire, tra le altre cose, Chiesa e Convento di Santa Chiara a Napoli, ma non solo. Si distinse anche per aver favorito il ritorno del Papa da Avignone a Roma. Entrò in rapporti con la mistica Brigida di Svezia e promosse la sua canonizzazione. In vecchiaia venne in urto col figlio secondogenito Raimondello, capostipite del ramo Orsini del Balzo, a cui diede la sola contea di Soleto, in provincia di Lecce.

Si distinse anche per aver abbracciato senza indugio posizioni umanistiche, divenendo amico personale di Boccaccio, Petrarca e Salutati. Fu profondo conoscitore delle lettere latine e studioso di retorica.

Facile supporre che interessi umanistici e retorici possano aver spinto il Conte Nicolò Orsini a richiedere il prestito del codice Gregoriano di Monte Sacro, consegnatogli brevi manu a Taranto, dove si era recato per l’occorrenza, proprio dall’Abate del tempo Luca, guarda caso proprio quell’Abate Luca deposto di lì a poco, in quegli anni, proprio dal Cardinale Albornoz, diretto superiore del Conte Orsini per fatti disdicevoli avvenuti all’interno delle mura abbaziali. Ma è probabile che l’Abate Luca successivamente e inspiegabilmente fu poi reintegrato nel suo incarico, anche se per un breve periodo.

L’infausto periodo per la Chiesa della cosiddetta Commenda, cui Don Salvatore Prencipe attribuisce gran parte delle responsabilità circa la decadenza e l’abbandono monastico dell’Abbazia di Monte Sacro, merita però di una ulteriore precisazione.

Infatti, da uno studio più volte sottaciuto in molte pubblicazioni successive, apprendiamo una notizia che potrebbe spiegare alcuni aspetti ancora oscuri.   

Ma procediamo con ordine. Nei registri di Urbano V, grazie alle ricerche del grande archivista, il monaco cassinese Tommaso Leccisotti, nativo di Torremaggiore in provincia di Foggia, negli anni trenta del secolo scorso trovò un documento datato 19 agosto 1370, che ci mostra Monte Sacro in preda a dissensioni e difficoltà. Le caotiche condizioni del Regno si ripercuotevano su quel monastero isolato e arroccato sul monte del Gargano.

“Penultimo nella serie degli Abati regolari di Monte Sacro fu Luca, a cui successe infine Antonio.

Della nostra Abbazia ebbe ad occuparsene anche il Cardinale spagnolo Egidio Albornoz, legato pontificio nel Regno di Napoli, chiamato dal Papa a predisporre il suo rientro a Roma al termine della cattività avignonese, come già detto.

Questi, dopo un regolare procedimento, depose l’abate Luca. Tenuto conto degli anni di legazione e di morte dell’Albornoz, ciò non poté avvenire che nel 1365-1366. Naturalmente, non contento, Luca aveva appellato al Papa che commise la causa al Cardinal diacono Ugo di San Marziale del titolo di Santa Maria in Portico.

Non solo perché la causa pendeva indecisa, ma soprattutto perché già il Papa si era riservata la provvista di Monte Sacro in caso di vacanza della sede, per assegnarla in beneficio a qualche alto prelato e dando quindi avvio a quello che fu definito il periodo della Commenda cardinalizia, come effettivamente poi avvenne.

Pertanto non si sarebbe potuto procedere ad altra elezione.

Invece ecco presentarsi in Concistoro un monaco, Giacomo di Monte Sant’Angelo, ad annunziare che, ignorando la riserva e la decisione papale, i monaci di Monte Sacro avevano eletto abate lui, loro confratello e rivestito del sacerdozio.

Anche dell’esame di questa complicazione imprevista fu incaricato il sopra citato Cardinale Ugo di Santa Maria in Portico.

Le di lui conclusioni furono anzitutto sfavorevoli al deposto abate Luca, che quindi vide confermata la sentenza dell’Albornoz.

Ma anche il neo eletto abate Giacomo all’esame riuscì tutt’altro che esente da pecche. Egli avrebbe alienato molti beni del monastero (era forse già stato cellerario o preposito di qualche casa dipendente?) e perfino aveva fatto uccidere il fratello dell’allora abate Luca, Pasquale di Nicola da Viesti.

Davanti a queste quantomeno compromettenti risultanze, il Papa diede incarico all’Arcivescovo di Napoli Bernardo de Rodes di esaminare giudizialmente le cose, sì che se avrà trovato che le accuse mosse contro Giacomo non rispondono a verità, ed egli è persona capace della carica cui era stato eletto, lo stabilisca senz’altro come abate con autorità apostolica.

Che se invece il giudizio riuscirà avverso a Giacomo, lo stesso Bernardo scelga un altro monaco dello stesso monastero, al quale egli stesso poi, o altro vescovo di sua scelta potrà conferire la benedizione abbaziale.

Non pare che l’inchiesta sia riuscita, almeno del tutto, favorevole a Giacomo, poiché nel 1371 troviamo come abate Antonio nella crono tassi successore del deposto Luca e ultimo degli abati.

Ma è da domandarsi se le difficoltà di Monte Sacro, con la deposizione dell’Abate Luca e l’uccisione del di lui fratello carnale, il monaco Pasquale, non siano da porre in relazione con il Movimento dei Fraticelli e la repressione di esso. Infatti <assai più numerosi dei Baroni, anche per il dominio spirituale della Chiesa, erano diventati, nei Regno di Napoli, i Fraticelli, molto numerosi, per quanto divisi in più sette, una delle quali, la più intransigente, che si rifiutava di obbedire a un Ministro Generale, riconosceva per Maestro frate Tommaso, vescovo di Aquino, e aveva nel 1359 tenuto una grande adunanza in Monte Sant’Angelo sul Gargano, dinanzi a Ludovico di Durazzo pretendente al trono di Sicilia, e aveva perciò assunto una tendenza politica nettamente ostile alla Regina Giovanna.

È certo che l’Albornoz si occupò di questi pericolosi fanatici, perché il 4 aprile 1366 fece eseguire una copia del processo istituito dai Domenicani, inquisitori, dinanzi a Bertrando, Arcivescovo di Napoli, nei mesi di marzo e aprile 1362, contro alcuni di questi eretici e contro Ludovico di Durazzo>.

Senza dubbio, se Luca fosse stato infetto dall’eresia, non avrebbe avuto la sola pena della deposizione. Potrebbe però pensarsi che forse sia risultato sospetto solo di favoreggiamento”.

Interessante confrontare queste notizie finali con la trama romanzata da Umberto Eco nel “Nome della Rosa”, in particolare per quanto riguarda il processo per eresia ai Fraticelli presieduto dall’inquisitore, il frate domenicano Bernardo Gui, molto somigliante al confratello Albornoz per le maniere spicce con le quali trattava i sospettati di eresia e stregoneria.

Occorre soffermarci su alcune date sopra enunciate, tutte della primavera del 1366.

Il 12 marzo l’abate Luca, forse già destituito da Albornoz, accorre a Taranto e consegna una copia del Codice dell’abate Gregorio a Nicolò Orsini, probabilmente al fine di ingraziarsi i suoi favori o a sua benevolenza nei confronti del Cardinale.

Il 4 aprile 1366 Il Cardinale Albornoz fa redigere una copia degli atti del Tribunale dell’inquisizione già eseguiti solo pochi anni prima a Napoli in un processo per eresia analogo a quello che già vedeva indagato l’abate Luca di Monte Sacro.

Ipotesi non peregrina quella della necessità da parte degli inquisitori di accedere alla lettura del codice onde esaminarne la correttezza dottrinale. È fuori discussione infatti che il codice enciclopedico “De hominum deificatione” nella sua vastità e complessità affrontasse materie a dir poco pericolose e passibili di scivoloni sul piano dell’ortodossia.

Non a caso uno dei tanti testi che compongono l’opera gregoriana, forse il più attenzionato a suo tempo dall’Inquisizione, si intitola “Cur Deus homo”, ovvero “Perché un Dio Uomo” (senza punto interrogativo).

Argomento scottante trattato per la prima volta dal teologo Anselmo (poi Santo) nato a Aosta nel 1033, quindi esponente della filosofia scolastica, morto da Arcivescovo di Canterbury nel 1109.

Del Codice nella sua interezza si è già occupato nel 2002 il filologo medievale tedesco Bernhard Pabst con la pubblicazione in tedesco del volume “Gregor Von Monte Sacro und die geistige Kultur Suditaliens unter Friedrich II”.

Già nel 1989 il filologo, suo connazionale, Udo Kindermann aveva pubblicato, in latino e tedesco il volume “Der Dichter vom Heiligen Berge. Eine Einfuhrung in das Werk des mittelatenischen Autors Gregor Von Montesacro, mit Ersteditionen und Untersuchung”, una parziale lettura del testo del Poeta di Monte Sacro Gregorio particolarmente mirato agli aspetti liturgici che si celebravano all’interni dell’abbazia.   

Sempre il professor Kindermann nei mesi scorsi ha inoltre pubblicato il volume “Cur Deus Homo. Ein Rollenspiel des Gregor von Montesacro”, un’ulteriore libro contenuto nel mastodontico codice gregoriano intitolato proprio Cur Deus Homo, interpretato alla stregua di un Gioco dei ruoli elaborato nel Medioevo da Gregorio di Monte Sacro.

Dopo il prestito a Nicolò Orsini del 1366, fortunatamente non restituito come pattuito, ma evidentemente neanche richiesto in reso dai nostri monaci, il Codice, proprio quello più ricco di glosse e miniature, poi denominato Vaticano Latino, pervenne non si sa come nella Biblioteca del convento dei Santi Apostoli a Roma per poi entrare, tra il 1623 e il 1627, nella Biblioteca Vaticana “Ex conventu SS. Apostolorum de Urbe”, proveniente cioè dal Convento annesso alla Basilica dei Santi Apostoli in Roma, di pertinenza dell’ordine Francescano Conventuale, consacrata nel 1724 da Papa Benedetto XIII (Vincenzo Maria Orsini).

Basilica dei Santi XII Apostoli
Basilica dei Santi XII Apostoli

Ma a questo punto mi tocca esaminare tutta una serie di strane coincidenze relative ai due codici che sappiamo trovarsi un tempo nell’Abbazia di Monte Sacro e che guarda caso vedono coinvolto un altro illustre figlio della casata Orsini con forti interessi feudali tra Campania e Puglia (Nola, Taranto, Gravina di Puglia, Soleto, Solofra) cui era appartenuto il nostro Conte Nicolò. Stiamo parlando proprio di Vincenzo Maria Orsini (Gravina di Puglia 1649 – Roma 1730), del ramo gravinese del nobile casato Orsini. 

Il 12 gennaio 1481, dopo circa novanta anni nel corso dei quali si sono succeduti cinque Abati Commendatari (per lo più Cardinali o alte cariche prelatizie) nell’anno X del pontificato di Sisto IV la Badia di Monte Sacro, con l’annessione di tutti i suoi beni e delle sue pertinenze, alla Mensa Arcivescovile Sipontina, cessò di essere una Abbazia Nullius (territoriale, incardinata in nessuna Diocesi).   

Dopo il suo definitivo abbandono, l’Abbazia passò di mano in mano.

Prima fu accorpata alla Mensa Arcivescovile Sipontina, per poi finire agli inizi dell’800 nelle mani del Cardinale Fabrizio Ruffo di Bagnara (1744 – 1827), organizzatore per conto del Re Ferdinando I delle Due Sicilie di Napoli, nonché capo delle Bande Sanfediste che riportarono i Borbone sul trono di Napoli dopo il periodo napoleonico – murattiano.

Il caso ha voluto che l’opera di Gregorio non fosse dispersa negli anni della decadenza dopo l’accorpamento alla Mensa Arcivescovile Sipontina, né vandalizzata come è accaduto con le fabbriche dell’Abbazia né tantomeno bruciata nell’incendio della città di Manfredonia provocato dalle orde turcomanne il 16 agosto 1620.

Nel 1675 e 1677 negli Atti delle Sante Visite e in quelli sinodali del 1678 del Cardinale Vincenzo Maria Orsini, poi Arcivescovo di Manfredonia tra il 1675 e il 1680, quindi Papa Benedetto XIII a partire da 1724 fino alla morte leggiamo che reggente della dignità abbaziale era Jacobus Puccinellus Abbas, Giacomo Puccinelli Abate di Santa Maria della Luce in Mattinata, chiesetta erede del titolo di Monte Sacro. Questo abate commendatario era a sua volta nipote di Giovani Alfonso Puccinelli, Arcivescovo di Manfredonia a partire dal 1652, nonché protagonista della quarta apparizione di San Michele nel 1656 per intercessione del quale fu debellata la pestilenza che imperversava nelle nostre contrade.

Potrebbe essere plausibile che al tempo dell’Amministrazione del Cardinal Vicenzo Maria Orsini, Arcivescovo di Manfredonia, qualche volume della Biblioteca diocesana, quindi anche la seconda copia del Codice di Gregorio, quella meno adorna e commentata, fosse stata salvata dal sacco dei Turchi, destando l’interesse del giovane prelato domenicano Orsini, e che quest’ultimo la avesse portata con sé fino a Roma dove, una volta assurto al seggio pontificio, l’aveva inserita nella Biblioteca annessa a Santa Maria Sopra Minerva, mirabile opera in corso di edificazione e proprio da questo Pontefice completata, all’interno della quale Basilica decise di essere sepolto lui stesso in quanto chiesa di pertinenza dell’ordine domenicano dal quale lo stesso Papa Benedetto XIII proveniva.

Roma. Basilica di Santa Maria Sopra Minerva
Roma. Basilica di Santa Maria Sopra Minerva

Secondo alcune fonti (da verificare) questo codice, poi noto come Codice Barberiniano Latino già alla fine del secolo XV era conservato nella biblioteca del Convento di Santa Maria Sopra Minerva in Roma (quella stessa all’interno della quale fu processato anche Galileo Galilei) per poi essere acquisito alla Biblioteca Barberini.

Entrambe i Codici (Vaticano Latino e Barberiniano) nella prima metà del 1600 già facevano parte della Biblioteca Vaticana dove sono ancora conservati, anche se chi scrive sarebbe propenso, per quanto sopra ipotizzato, a postdatare l’acquisizione. Grazie a queste antiche pergamene la memoria di Gregorius Magister si è perpetuata nel tempo ed è giunta fino ai nostri giorni, dando lustro ulteriore a quel che è restato del nostro Chiostro assiso sulla quarta vetta garganica, Monte Sacro.

Antonio Latino
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