Filmografia sul brigantaggio e mistificazione del territorio garganico

Pubblichiamo l’articolo di un nostro fedele lettore in merito alle riprese della fiction ‘Il generale dei briganti’, girata in località ”Sagro”

Apprendiamo dal sito mattinata.it che il territorio garganico si è prestato come set cinematografico per un film storico, rievocativo del brigantaggio meridionale. Scrive testualmente Francesco Bisceglia, corrispondente locale della Gazzetta del Mezzogiorno:

Sono terminate le riprese della fiction “Il generale dei briganti”, che per un’intera settimana si sono svolte nella campagne mattinatesi. In località “Sagro”, tra la boscaglia e vecchie case rurali, sono state girate diverse scene che in autunno si vedranno in prima serata su Rai Uno. Piccole parti sono state assegnate ad alcuni mattinatesi, come Raffaele De Vita e Matteo De Vita. E’ stato l’intero Gargano, ad iniziare dalle scene filmate a Vieste a quelle della foresta Umbra, ad essere coinvolto nella realizzazione dell’opera. “Il generale dei Briganti” è frutto di oltre due anni di lavoro: ricerca storica, documentazione storiografica iconografica e persino merceologica, perché non solo le vicende narrate, ma anche costumi, ambientazioni, acconciature, arredamenti ed ogni piccolo particolare rispecchi le vicende narrate. Il copione è stato scritto da Paolo Poeti e Giovanna Koch, e racconta le vicende di cui fu protagonista il capo dei briganti lucani Carmine Crocco, fiero avversario dell’Italia dei Savoia. “Ciò – sottolinea Vanessa Ferrero della produzione della fiction – senza mai falsificare la storia, pur confezionando un prodotto artistico e non un semplice documentario. Raccontiamo dunque la delusione dei briganti per come andarono le cose dopo l’iniziale patto stipulato con Garibaldi, il nostro lavoro rispetta profondamente la storia del meridione italiano, e tenta di raccontarne una parte (peraltro controversa e lunga) proprio nel 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, per offrirla in prima serata al pubblico di Rai Uno”.




Ci spiace sottolineare come, ancora una volta, il nostro territorio, pur vantando episodi di notevole interesse storico nell’ambito dell’epopea brigantesca, sia sfruttato cinematograficamente solo per copioni e sceneggiature ricavate dalla pur celebre storiografia di terra di Lucania, famosa per i suoi comandanti Raffa Raffa, Carmine Donatello Crocco, Ninco Nanco.

La storia garganica del tragico periodo post – unitario, annovera personaggi altrettanto illustri e feroci a partire dal capo brigante Luigi Raffaele Palumbo detto il Principe Luigi le cui vicende delittuose si consumarono con efferati crimini tra i territori di Monte Sant’Angelo, Mattinata e Vieste e proprio Mattinata fu il borgo dove più violenta infuriò la reazione contro il nuovo Stato italo–sabaudo con la popolazione fomentata alla rivolta su incitamento del parroco don Giuseppantonio Azzarone. In campo opposto si distinsero nel corso della repressione il maggiore garibaldino avvocato Michele Cesare Rebecchi e il capitano della Guardia Nazionale dottor Filippo Basso, notabili liberali di Monte Sant’Angelo, tra di loro acerrimi nemici e autori di un interessante carteggio.

Nel 1863 Filippo Basso, già Sindaco di Monte Sant’Angelo, scrive “Poche parole al Parlamento Italiano e a tutta l’Europa civile” Napoli: Tipografia Ferrante e C., in cui sono narrati con dovizia di particolari gli avvenimenti che sconvolsero la borgata di Mattinata negli anni del brigantaggio post-unitario (1861-1862).

Nello stesso anno Michele Cesare Rebecchi replica con “Un’adeguata risposta ad un libello famoso, ovvero molti fatti provati a poche parole calunniose”, Foggia. Tipografia G. Ciampitti. La polemica “Risposta alle improntitudini e bizzarrie mentali di Michele Cesare Rebecchi per Filippo Basso, dottor fisico”, Napoli: Tipografia Ferrante e C. porta ancora la data 1863 e testimonia quanto infuocato fosse il clima politico all’interno della nuova classe dirigente post-unitaria. (tratto da Antonio F. P. Latino “La pubblicistica mattinatese: scrittori e giornalisti, libri e giornali”. Estratto da . Foggia 2010).

Proprio dai tre libelli pubblicati da questi due illustri personaggi e da altre ricchissime fonti archivistiche sarebbe possibile estrarre intriganti storie da proporre anche cinematograficamente evitando il rischio ricorrente di mistificare i luoghi delle ambientazioni. Già nel 1942 Riccardo Bacchelli ambienta nelle foreste centrali del promontorio, in particolare nel bosco tra Iacotentente e Vergon del Lupo, il romanzo “Il brigante di Tacca del Lupo e altri racconti disperati” edito da Garzanti – Milano, poi nel 1952 in “Tutte le novelle” Milano, Editrice Rizzoli, da cui Pietro Germi trarrà la sceneggiatura di un famoso film “Il brigante di Tacca del Lupo” interpretato da Amedeo Nazzari. Bacchelli, non nuovo a incursioni esplorative in terra garganica, nel 1952 dopo aver pubblicato per Rizzoli – Milano “Italia per terra e per mare, capitoli di viaggio”, dedica ai paesi garganici e alla costa tra Vieste e Mattinata alcune pagine del resoconto “Viaggio per terra e per mare”, sempre nel 1952.

Ma il suo capo brigante Raffa Raffa è un contadino lucano, proprio come il Carmine Donatello Crocco. E i luoghi delle loro gesta sono i boschi di Rionero in Vulture, Monticchio, Melfi, altrettanto belli ed incontaminati. Tacca del Lupo invece è un bosco garganico di incommensurabile bellezza e vi si accede percorrendo per qualche chilometro una carrozzabile sterrata che si immette, poco dopo la casa cantoniera di Sagro, lungo la SS. 89 Mattinata – Vieste. Al centro della radura fa bella mostra una caserma forestale in totale stato di abbandono.

Diretto da Germi nel 1952, Il brigante di Tacca del Lupo è un film storico, moderno come 1860 di Blasetti (1934). Se Blasetti aveva raccontato la liberazione del Sud ad opera dei garibaldini, Germi ne descrive le conseguenze: ossia la guerra civile o “brigantaggio”. Nel film si apprezzano il realismo della ricostruzione e delle psicologie, il tentativo di ridurre l’epopea a cronaca storica sulle ambiguità del Risorgimento e della Storia in generale. Sono abbastanza crude ed eloquenti alcune immagini, ad esempio quelle del saccheggio di Melfi, e le sequenze di battaglia in generale. Scene simili si ritroveranno in Senso di Luchino Visconti (1954). Germi come aveva già fatto in “In nome della legge” (1949) gira in pratica un western alla John Ford e racconta tutto questo usando lo stile del cinema d’azione classico, basato essenzialmente sul montaggio accurato e incalzante, e marce nelle terre di nessuno. I primi piani laterali dei trombettieri che suonano la carica, gli interventi sbrigativi e senza anestesia dei medici militari, la missione dell’esercito nei luoghi dove si annidano i nemici, le imboscate, gli attacchi con l’arrivano i nostri finale. Il capitano Giordani (Amedeo Nazzari) invece è un militare alla John Wayne, che deve risolvere con le fucilate ciò che i politici non sanno risolvere con le parole: integerrimo, testardo, instancabile, inflessibile.


La trama si svolge nel 1863. La compagnia bersaglieri del capitano Giordani deve liberare una zona della Basilicata dal bandito Raffa Raffa, fedele ai Borboni. Il capitano è per i metodi spicci; il commissario di polizia, Siceli, ex funzionario borbonico, è per un lavoro più sottile che sfrutti le opposte passioni vive nell’ambiente. Durante un’azione di rastrellamento viene catturata Zitamaria, una giovane donna che ha subito violenza da Raffa Raffa. Ma la donna fugge quasi subito. Con l’aiuto di suo marito, Siceli scopre il rifugio del bandito riducendo a questioni private la giustizia. Accorre Giordani con una pattuglia e ingaggia battaglia. Raffa Raffa viene ucciso a coltellate dal marito offeso. Ci sono di John Ford, i feriti, i morti, le veglie attorno al fuoco, la tristezza delle cose compiute, delle vittorie inutili. Il film si conclude con un presentat’arm, con il conto dei morti e dei feriti, mentre il vento soffia sulle piume dei bersaglieri che ritorneranno a casa e sulle croci di quelli rimasti con una popolazione si spera meno ostile. Germi sceglie un attore dalle forti e passionali caratterizzazioni come Amedeo Nazzari che in diversi film aveva già interpretato ruoli di uomo d’onore nella parte di fuorilegge meridionali, come nei Il lupo della Sila e Il brigante Musolino: questa volta le parti sono invertite: il suo ruolo è quello di un capitano dei bersaglieri che con metodi energici, così come gli è stato comandato, deve sterminare una banda di famigerati briganti anche se questo comporta fare vittime tra i paesani lucani. E questo avviene, osserva Germi, proprio ad opera di ingenui soldati contadini anch’essi trascinati a combattere poveri come loro, diversi da loro solo per il dialetto che parlano.

Il capitano non segue i consigli del commissario di polizia Siceli, uomo del posto e dalla cultura meridionale borbonica, fatta di astuzia, intelligenza e cinismo, che, sfruttando la voglia di Carmine di vendicare l’offesa all’onore – ritorna sempre il meridionale onore – che gli ha fatto il brigante lucano Raffa Raffa violentando la sua donna, Zitamaria (una Cosetta Greco un po’ stralunata nella parte assegnatale), riesce a scovare il bandito che sarà ucciso in un epico duello a coltellate dal marito offeso. Nel frattempo il capitano e i suoi bersaglieri, con le piume al vento e tra squilli di tromba, fa la sua carica al modo western del “Settimo cavalleria” contro la banda dei briganti. Il capitano farebbe però una brutta fine, se non arrivassero “i nostri” rappresentati dai rinforzi venuti a soccorrere i bersaglieri soccombenti. Non manca a questo punto l’annotazione un po’ ingenua e populista di Germi quando nel finale del film i piemontesi, rendendo l’onore delle armi ai morti, riconoscono il coraggio dei banditi che hanno combattuto e cominciano a condividere con il popolo lucano, ormai non più estraneo e nemico, l’ideale unitario risorgimentale. (fonte Wikipedia)

 


Antonio Latino
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