”Da dove riparte la Prefettura di Reggio”

L’università di Reggio Calabria ha salutato il prefetto Michele di Bari promosso capo dicastero al Ministero dell’Interno

Il Prefetto Michele di Bari ha lasciato Reggio Calabria alla volta di Roma, dove occupa l’importante e prestigioso ruolo di Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione.

Lascia una città difficile, piagata dalla criminalità organizzata, dalla disoccupazione, da un diffuso disagio sociale. Una città che, per di più, è uno degli avamposti europei dell’ondata migratoria.

In una città così difficile da governare, di Bari ha fatto sentire vicina la presenza dello Stato. Vivendo il suo ruolo di prefetto come motore di aggregazione, di coesione e di dialogo tra le funzioni periferiche dello Stato e quelle che sono espressione delle autonomie locali, ha saputo dare vigore e pieno spessore alla nuova configurazione della prefettura, quale ufficio territoriale del Governo, e restituire, per questa via, fiducia ai livelli di governo territoriali. Proprio a questo scopo il Prefetto di Bari ha abilmente valorizzato il ruolo e le funzioni delle conferenze permanenti, previste nell’ambito della nuova configurazione del ruolo prefettizio, mettendo in costante dialogo tutte le strutture periferiche dello Stato, operanti nell’area provinciale, e i rappresentanti delle autonomie locali, oltre ai vari soggetti istituzionali di cui, di volta in volta, erano necessari la partecipazione e il coinvolgimento. Su questi tavoli di raccordo, di dialogo, di collaborazione, il Prefetto di Bari è riuscito a porsi come punto di riferimento dei diversi attori, senza mai venir meno al ruolo di massima autorità del Governo in provincia, chiamata ad assicurare l’unitarietà della nostra Repubblica. Direi che, su questo piano, si è realizzata una delle più felici sintesi del lavoro di di Bari a Reggio Calabria, quella cioè di assicurare agli enti locali, come prevede la legge, gli strumenti della loro effettiva autonomia sia nei confronti dello Stato sia nei loro reciproci rapporti, pur restando il Prefetto nell’alveo delle sue funzioni di rappresentante del Governo e dell’amministrazione centrale in provincia. È, in realtà, la sintesi che mira a realizzare i principi della nostra Carta fondamentale; nell’ambito di una Repubblica che vuole unitaria, la Costituzione disegna però un sistema articolato di autonomie, tutte garantite nell’esercizio delle proprie prerogative. Autonomie che nel prefetto trovano, come dicevamo, il momento di raccordo, di dialogo, di coesione.

Il Prefetto di Bari non ha mai esitato a mettere la Prefettura al servizio delle altre amministrazioni dello Stato, tutte le volte in cui fosse attivabile o dovuto, nei termini previsti dalla legge, il cd. avvalimento, assicurando in tal modo la collaborazione istituzionale necessaria, in condizioni di doverosa “neutralità amministrativa”.

Estremamente vigile, puntuale, energica l’azione svolta dal Prefetto di Bari di Autorità provinciale di Pubblica sicurezza. E, però, ha fatto uso sapiente della Forza pubblica, curando, nell’ambito della sua responsabilità politica, la scelta delle misure di pubblica sicurezza con la sensibilità necessaria a garantirne il minor impatto socio-economico. E, anche quando ha esercitato il delicatissimo potere di scioglimento dei Comuni, ha sempre rispettato, pur guardandola con estrema attenzione, la complessa e lunga attività di accertamento alla base della misura. Misura, quella dello scioglimento, che ha sempre concepito come extrema ratio, consapevole, però, che in certe situazioni ambientali, nelle quali il controllo e l’ingerenza criminale sono fortemente pervasivi, lo scioglimento va disposto a fronte di elementi di condizionamento mafioso univoci e coerenti, anche quando questi non abbiamo rilevanza penale.

Garanzia per i cittadini. Un ruolo che la norma attribuisce al prefetto quando lo chiama a vigilare, con poteri sostitutivi, sulla qualità dei servizi resi dalle strutture periferiche dello Stato, e che il Prefetto di Bari ha saputo esercitare con discrezione, ma sempre con estrema attenzione, con la dovuta accortezza e con la necessaria fermezza.

Punto di riferimento nell’ambito dei poteri che la legge gli assegna in materia di Protezione civile, il Prefetto di Bari ha “chiuso” gli spazi che l’ordinamento lascia aperti quando, a fronte di emergenze straordinarie, risulti difficile individuare competenze e responsabilità degli enti locali e quindi dare avvio alla macchina dei soccorsi e al suo coordinamento.

Sempre in guardia sul delicato fronte dei conflitti sindacali – sensibile com’è, per formazione e cultura, ai diritti dei lavoratori -, il Prefetto di Bari ha gestito i contrasti cercando nella mediazione la sintesi in vista del superiore interesse pubblico, attento a limitare l’uso delle funzioni repressive che gli è attribuito in ragione del suo ruolo di garante dell’ordine pubblico. Ho avuto l’onore e il piacere di conoscerlo, e durante gli scambi di idee, mi ha sempre detto che l’opera di repressione di ogni forma di illegalità, pur necessaria, non può che essere accompagnata da iniziative volte a favorire la formazione di una “coscienza” della legalità. Coscienza che si forma attraverso un processo di interiorizzazione delle regole, accompagnato da un’opera instancabile di “educazione alla legalità”. Mi ha sempre ripetuto che la legalità non può essere imposta dall’alto, ma deve essere accolta e interiorizzata come valore personale. Non v’è senso di appartenenza alla comunità senza la (pre)comprensione di come la vita di ciascuno e le relazioni sociali nelle quali si svolge siano fondate su un sistema di regole espressione di un patto sociale condiviso, finalizzato al perseguimento del bene comune. Che è fatto di valori civili come la libertà, la dignità, la solidarietà, la sicurezza: una volta acquisiti nella coscienza individuale come beni collettivi, vanno affidati alla tutela dello Stato, che se ne fa garante. Sempre arricchenti i colloqui che ho avuto con lui: personalità di una vivacità intellettuale e di una cultura che ti porta, in un batter di ciglia, dal diritto e dall’amministrazione alla religione, dalla filosofia alla politica, dall’economia alla società, riuscendo sempre a mantenere il rigore istituzionale del ruolo, che sempre lo caratterizza anche nel dibattito cui costantemente partecipa.

L’abbiamo visto a Polsi, affascinato, come spesso mi ha raccontato, dall’asprezza e dalla solitudine del luogo, dalla natura incontaminata che custodisce la valle, dal silenzio che l’avvolge, e che ne fanno luogo privilegiato di raccoglimento e di preghiera. L’abbiamo visto a Polsi perché ha voluto marcare proprio a Polsi la presenza dello Stato. Mi ha sempre detto: “Voglio restituire Polsi alla fede. Voglio strapparlo all’immaginario collettivo malato che lo vede come luogo di incontro delle varie consorterie mafiose impegnate a discutere e delineare le strategie criminali. Da luogo di fede qual è, deve, proprio per questo, diventare anche il simbolo del riscatto, della lotta alla ndrangheta”.

Sempre attento alla nostra Università, nella quale, come più volte ci ha detto, vede un volano di crescita economico-sociale del territorio. Fin dal suo insediamento a Reggio Calabria, il Prefetto di Bari ha manifestato all’Università la sua vicinanza istituzionale. E direi di più: anche e soprattutto umana. Proprio perché crede nel ruolo e nella forza dei giovani, cui è consegnato il nostro futuro. Da uomo del Sud, che per via del suo ruolo ha percorso l’Italia intera, soffre – così ho colto spesso nei nostri colloqui – per la fuga dei giovani dal territorio: la considera tra le più gravi perdite.

Dicevo, vicinanza umana. Lo hanno sottolineato il Rettore dell’Università Mediterranea, prof. Santo Marcello Zimbone, e il suo predecessore, prof. Pasquale Catanoso, che, nella splendida cornice dell’Atelier d’Ateneo, l’hanno voluto salutare alla presenza di tanti ospiti: “non era difficile incontrarlo nei corridoi dell’Ateneo, come una persona qualunque. Tra gli studenti”. Mi verrebbe da dire: nel cantiere del nostro futuro.

Il Prefetto di Bari, dunque, lascia Reggio Calabria per rivestire il ruolo di Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Si occuperà, dallo scranno più alto dell’Amministrazione dell’interno, di cittadinanza, di minoranze, di libertà civili e religiose, in un momento delicatissimo in cui le nostre società si fanno sempre più pluralistiche, multiculturali. Si occuperà ancora di immigrazione. Continuerà per questo a lavorare per la nostra città, insieme con il nuovo Prefetto di Reggio Calabria, cui va il più sentito benvenuto. Lo farà a livello più elevato: riconoscimento meritato, dopo la non facile gestione della spinta migratoria su una delle frontiere più avanzate del Mediterraneo centrale.

di Antonino Mazza Laboccetta (docente dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria)

Link all’articolo originale: https://www.corrieredellacalabria.it/contributi/item/189889-da-dove-riparte-la-prefettura-di-reggio/

Fonte: Corriere di Calabria
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