Marilina Piemontese: i colori del Gargano e l’arte che unisce il Nord e il Sud
- 1 Dicembre 2024
Un vecchio motore trasformato in una scultura ispirata ai colori del Gargano e all’arte di Mondrian
Incontro con Francesco Granatiero
E’ uno dei maggiori poeti dialettali pugliesi, autore di numerose raccolte di poesia. Una decina nel suo dialetto garganico. Alcuni inseriti nella collana dei classici italiani e stranieri. E’ anche noto come studioso di dialetti avendo pubblicato varie opere di carattere tra cui lo studio “Vocabolario dei dialetti garganici“.
Francesco Granatiero, garganico di Mattinata ritorna ogni anno da Torino dove da 35 anni svolge la sua attività di medico. Lo incontriamo in riva al mare mentre consulta il libro «Donato Apollonio tra poesia e Padre Pio» recentemente pubblicato da Pacilli editore. Gli chiediamo qual è lo stato dell’arte della poesia dialettale.
“Dopo il grande fermento degli anni ’80 -’90 del secolo scorso risponde – la poesia in dialetto sta vivendo un periodo difficile. Non che l’ispirazione venga meno. Internet ha condizionato editoria e lettori. Qualcosa sembra muoversi: vengono allestite crestomazie e catalogazioni di neodialettali, la cui attività non conosce tregua.
Si veda l’analogia “L’Italia a pezzi”, a cura di Manuel Cohen e altri, in uscita in questi giorni. Si pensi alla Biennale di Poesia di Alessandria e dedica una giornata, il 27 settembre prossimo, alla poesia in dialetto.
Ma non si dimentichi il magistero esercitato dalla rivista “Letteratura e dialetti”. Ma da noi che cosa c’è di nuovo? “C’è l’antologia Voci del tempo, la Puglia dei poeti dialettali, edita dalla Gelsorosso di Bari, a cura di Sergio D’Amaro con mie note linguistiche, e l’antologia da me curata “Dal Gargano all’Appennino le voci in dialetto”, edita da Sentieri Meridiani di Foggia. Ma molta è la produzione sotterranea in dialetto, né mancano riscoperte di autori del passato, come Donato Apollonio (1904-1970) i cui testi dimostrano una buona padronanza del canone metrico e una bonaria, elegante ironia, tipica del suo mondo e necessaria premessa agli esiti di un poeta come Francesco Paolo Borazio“.
La rivista “incroci” ha pubblicato i tuoi sonetti dedicati all’ulivo. Qual è la tua definizione di poesia? “Credo sia quella di artigiano della poesia. Dai sette ai quindici anni ho conosciuto la fatica dei campi. Quando mio padre mi lasciava solo in una grotta fuligginosa per recarsi in paese, di notte, per combattere la paura, intrecciavo panierini che negli anni ’70 hanno assunto la forma di poesie in lingua e negli anni ’80 di un poemetto: “La préte de Bbacucche”.Il mio sonetto di settenari e divenuto emblema dei muretti a secco e io, come i miei contadini che con essi cercavano di trattenere la terra dove seminare, sono diventato un costruttore di muricce contro la morte“.
Delle circa 50mila parole provenienti dai 16 centri garganici del tuo vocabolario quante pensi resteranno? Il dialetto morirà? “Gran parte di quelle parole, soprattutto quelle riguardanti i mestieri, sono già morte. Spariscono gli asini e con essi il basto, perché dovrebbero rimanere le parole designanti la bardatura e le sue parti, da còreve e scutagne a zippe, scannidde e accucchiatore? Il dialetto di domani – conclude – sarà sempre più vicino all’italiano“.