Santi, falò e trottole: le tradizioni in paese
Storie, memorie e leggende di un passato ricco di usi, costumi e abitudini del paese
Gli abitanti di Mattinata (i mattinatesi) hanno conservato nel tempo molte delle loro tradizioni. Alcune però sono andate completamente smarrite, forse a causa della netta frattura con il modo di vivere del passato, forse perchè oggi quel che manca è “il tempo” da dedicarvi. Si è sempre più proiettati verso il perfezionismo e le ricchezze, e spesso si da poco conto a quello che un giorno sono stati gli unici momenti di sollievo e distrazione dai campi e dalle sudate terre.
E’ vero che per i nostri avi queste tradizioni rappresentavano l’unico momento di aggregazione e di divertimento puro; ma è altrettanto vero che dimenticarle o addirittura cancellarle, è la conferma che la nostra esistenza è proiettata sempre più verso il disfattismo…
Noi allora, abbiamo deciso di ricordarle tutte, sottolineando di volta in volta quelle poche che storicamente ancora resistono.
l giorno della Vigilia d’Epifania, il 5 gennaio, i ragazzi aspettano il termine della benedizione dell’ acqua per portarne festosi un pò a casa; questa servirà alla mamma che, dopo cena, ne riempirà un bicchiere ed insieme a del pane e ad un ago con del filo li lascierà sul tavolo della cucina.
Tutto ciò deriva da una credenza religiosa, che narra di una processione di defunti durante tale notte, i quali fanno visita ai devoti nelle loro case e quindi con l’acquabenedicono l’appartamento, con il pane si nutrono se hanno fame e con l’ ago si rammendano le vesti sdrucite.
Questa usanza, purtroppo, è ormai limitata alla presenza durante la benedizione, di poche vecchiette e mamme, ancora legate alla tradizione o forse timorose degli spiriti… Comunque c’è ancora nelle case qualcuno che gelosamente e di nascosto conserva il ricordo di questa ricorrenza.
Il 17 gennaio, si festeggia Sant’Antonio Abate. Per devozione in questo giorno si usava (è bene precisare sin d’ora che non si usa più!) mangiare pancotto, con pane conservato dal Natale.
Tale giorno dà anche inizio al Carnevale, e di qui infatti il detto popolare “Sandadunie masc’chere e sune” (e cioè “Sant’Antonio maschere e suoni”).
Se in questo giorno nevicava, la gente diceva ed interpretava “Sandandunie ci fè la varv” (e cioè “Sant’Antonio si fa la barba”); se pioveva “Sandandunie ci fè la facce e la tonache” (e cioè “Sant’Antonio si lava la faccia e la tunica”).
Nel periodo di Quaresima oggi si pratica il digiuno quasi ovunque nei paesi cristiani. Ovviamente anche a Mattinata la pratica era ed è tutt’oggi molto praticata, solo che la parola digiuno è limitata alla carne o alle piccole esagerazioni; mentre i nostri nonni raccontano di veri e propri digiuni nei giorni immediatamente precedenti la Santa Pasqua (la Settimana Santa) e per tutti i venerdì del periodo quaresimale. Ovviamente se si pensa al periodo storico e alla “fame” che circolava, le gesta assumono certamente valore doppio.
Raccontiamo ora un’usanza che era molto praticata tanti e tanti anni addietro, persasi poi (come al solito!) ai giorni nostri. Quando il digiuno e l’astinenza quaresimale erano rigorosi, i buoni cristiani il giorno delle Ceneri (che risaputamente dà il corso al periodo quaresimale) sciacquavano la bocca, i tegami, i piatti con la cenere, quasi per togliere i residui di grassume della carne mangiata il giorno avanti: le beccherie (macellerie) si chiudevano con i catenacci, mentre ai balconi o alle finestre appendevasi la quarantena, una pupa di pezza avente al posto dei piedi una patata, con sette penne di gallina infisse, di cui si toglieva una ogni sabato, finchè, tolta l’ultima il Sabato Santo, si gettava la quarantena nel fuoco. I più insofferenti per i rigori quaresimali sfogavano la bile, imprecando:
Quarandène, quarandène
E chi ti vonn mangè li chène:
So ssirrète li vucciarije
Pi quarandasett dije.
che tradotto dal dialetto mattinatese, vuol dire: “Quarantena, quarantena, possano mangiarti i cani: son rimaste chiuse le macellerie per quarantasette giorni”.
L’ultimo sabato del mese di Aprile, ricorre la festività della Madonna dell’Incoronata. A Mattinata negli ultimi anni questa data ricopre un’importanza notevole, in quanto si sta cercando di rievocare tradizionalmente la festa anche dal lato “civile”. Canti, spettacoli, fuochi pirotecnici e giochi di quartiere animano la due giorni dedicata alla Vergine.
Dal punto di vista prettamente religioso la tradizione recita sempre lo stesso calendario. I tre giorni antecedenti il Sabato, ci si ritrova tutti nella cappella rurale dell’Incoronata, per la recita dei Vespri, del Santo Rosario e della Messa Eucaristica. Si intonano canti alla Madonna, proprio come facevano le nostre nonne tempo addietro. Il Sabato quindi, una processione, al seguito della Associazione Bandistica del paese, accompagnata da canti e preghiere parte dall’edicola votiva, nel quartiere dedicato alla Vergine, per giungere alla chiesetta rurale; qui, sotto l’albero ove si vuole sia apparsa la Madonna, verrà celebrata la Santa Messa.
Il 13 giugno si festeggia (e non solo a Mattinata!) Sant’Antonio da Padova. Purtroppo oggi nella comunità mattinatese vi è rimasto ben poco della tradizionale festicciola che veniva riservata un tempo al Santo. La Santa Messa e la benedizione e distribuzione tra i fedeli dei pani offerti dai devoti è l’unica testimonianza raccolta e serbata. Un tempo, invece, al termine della S. Messa, fatta celebrare a devozione dai mulattieri, c’era anche una vera e propria cerimonia di benedizione di muli, cavalli e asini, schierati davanti alla Chiesa, con le teste adorne di fettuccine di sfoffa multicolori benedette (capisciole). Quindi, detti animali si facevano girare tre volte intorno alla Chiesa (i turnidd), alla presenza dei fedeli.
La Vigilia di San Giuseppe, il 18 marzo, si accendono per devozione, nelle strade e sulle circostanti colline, grossi falò (fanoie), intorno ai quali una volta si recitava il Santo Rosario, ora si chiacchiera, si canta e si balla. I carboni spenti si conservavano religiosamente, ma si lasciavano i tizzoni ardenti, altrimenti essi avrebbero potuto portare disgrazie e anche morte ai mariti… Questa forse è una delle poche tradizioni che ancora resistono e, anzi, negli ultimi anni, a cura di alcune associazioni locali (il Tucano prima, e l’Oasis poi!) prettamente a scopo sociale e benefico, ha preso piede il rispolverò del Falò.
Si organizza infatti, nel giorno della vigilia del Santo, una grande festa ove vengono inviati personalmente tutti i festeggiati maschi e femmine del paese, che insieme scattano la foto ricordo; si premiano il più anziano e il più giovane festeggiato presenti alla manifestazione; si benedice il falò e poi tutti insieme si canta, si balla e ci si diverte; tutt’intorno la presenza di tanti stands zeppi di prodotti locali, dai formaggi al pancotto, al vino e ai ceci e alle zeppole, dolce tipico della festa. l ricavato della manifestazione, come detto, viene utilizzato a scopo benefico e la presenza di tanta gente, anche forestiera, nonostante il periodo ed il tempo ne ostacolino di molto la presenza, testimonia il fatto che rievocando le tradizioni si riesce a condividere più momenti di solidarietà e divertimento.
La Settimana Santa è zeppa di ricorrenze e di relative usanze.
La Domenica delle Palme è il giorno dedicato alla benedizione dei ramoscelli di ulivo in segno di pace. Questa è un’usanza molto viva e festosa che tutt’oggi investe tanti bambini, e da loro si sposta nelle famiglie e nel vicinato, fino ad inondare di verdi frasche tutto il paese. E’ il ricordo dell’entrata trionfale riservata a Gesù a Betlemme; e proprio come quel giorno è la festa dei bambini e dei giovanotti che muovono trionfalmente i loro ramoscelli (più o meno grossi) in segno di festa.
Anni addietro erano numerosissimi i ramoscelli di olivo che i contadini portavano in Chiesa (o che i bimbi stessi si procuravano!) per farli benedire dal parroco e per partecipare alla processione. La palma benedetta poi era fissata nei campi, sulle biche di grano, sul culmine dei pagliai o sulle torri rurali, o collocata dietro le imposte delle finestre e dei balconi, alle porte delle stalle, sulle cornici di immagini sacre: un ramoscello si rinnoverà accanto all’acquasantiera a capo del letto. Quel giorno i ramoscelli erano scambiati vicendevolmente tra i fedeli in segno di pace e di amicizia, e questa era la frase che instancabilmente e con fierezza ripetevano ad ogni scambio:
Tecch la palm e facìme la péce,
N’eije timb di stè ‘n guerr:
So’ li Turch e fann la péce
Te’ la palm e damm nu bbéce.
che tradotto dal dialetto mattinatese vuol dire “Tieni la palma e facciamo la pace, non è tempo di stare in guerra: persino i Turchi fanno la pace, tieni la palma e dammi un bacio”.I bambini portavano giulivi in mano una palma di confetti o di fronde di olivi, mentre i giovanotti mettevano in mostra dal taschino una palma elegante confezionata dalle fidanzate con i confetti loro donati a Carnevale. Oggi, ovviamente, su qualcuna delle cose dette si sorvola cinicamente; però resta forte il desiderio e la gioia di presenziare alla breve processione sia nei bambini che nei grandi; e la festa che si rinnova in ogni casa nel ricevere e donare la palma benedetta, emula le gesta dei nostri avi, anche se con un pizzico di distacco in più.
Persa totalmente oggi l’usanza nel giorno del Giovedì Santo di rumoreggiare con trottole e raganelle (trozzl) durante la consacrazione nella Santa Messa, il trasporto del Santissimo all’altare del Sepolcro, la processione dell’Addolorata il Venerdì Santo e al Gloria del Sabato Santo. Infatti quando le campane, l’organo e i campanelli tacevano, era tanto e tale il rumore che li sostituiva, che nella Chiesa e per le strade vigeva sovrano solo il clamore composto degli strumenti.
Durante la Processione del Venerdì Santo poi, mentre i fanciulli, muniti di mazze, corrono come indemoniati, battendo sulle porte e vetrine per cacciare i diavoli, le donne più anziane pregavano.
Nella notte del Sabato Santo, moltissimi assistevano in Chiesa alle sacre funzioni: quando il celebrante intonava il Gloria, al cadere di un ampio lenzuolo che copriva tutto l’altare maggiore, mentre campanelli e campane annunziavano al paese la Risurrezione di Gesù, i ragazzi facevano eco col rumore assordante delle trozzole, e le vecchie piangevano di gioia, battendosi il petto. I bimbi si facevano benedire le colombine (scarascedd: pagnottelle a forma di panierini, bambole, bruccellati, cosparse di giallo d’uovo, con un uovo sodo, mandorle e fronde d’olivi infissi), mentre nella mattinata del giorno seguente, il dì di Pasqua, a frotte accorrono nell’atrio della Sagrestia per far benedire dal Sacerdote pane e uova sode con condimento di prezzemolo, pepe e sale, da mangiarsi poi in casa, dopo la recita del Pater Nosterntonato dal capo famiglia. Nello stesso giorno, a pranzo, era tradizione mangiare i malfatti (i frìvule) in brodo con carne di agnello.
Il 21 settembre, appena finiti i festeggiamenti dedicati al patrono di Mattinata, iniziano quelli per San Matteo Apostolo. O meglio, oggi non è rimasto gran che dei festeggiamenti riservati al santo, ma un tempo, nella vigilia, nella Cappella omonima si cantavano i Vespri e nel giorno della festività si celebrava la S. Messa. Nel pomeriggio poi, si organizzavano gare e giochi popolari: gara dei mangiatori di maccheroni, palo della cuccagna, corsa nel sacco, corsa asinesca e ciclistica, gioco della secchia (ialett), e forse anche qualche altro riservato all’inventiva del momento.
Il 1° novembre, qualche tempo fa, alcuni benestanti visitavano a gruppetti le case dei parenti ed amici, dicendo: “L’àneme i murt (Le anime dei morti)”; cui si rispondeva: “E ndla sacchett che purt? (E nella taschetta che porti?); e ricevevano castagne, mandorle, fichi secchi, ecc…I poveri festeggiavano il 2 novembre.
Oggi giorno questa tradizione è tenuta ben viva, solo che ad effettuare la gioiosa “cerca” sono tanti vivacissimi bambini che nei due giorni si divertono a scampanellare quante più case possibili recando in mano sacchetti stracolmi. Ovviamente anche i doni sono diversi, e le buste sono ben colme di caramelle, cioccolate, brioche e tanti tanti dolcetti…